L’investigatore privato può controllare un dipendente?
Le agenzie investigative possono controllare la prestazione lavorativa del dipendente di un’azienda?
Il ricorso all’investigatore privato NON è consentito quando il fine del controllo disposto è verificare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti all’interno dei luoghi di lavoro. Il datore non può eseguire controlli sui dipendenti né con il proprio personale né con detective esterni. L’investigatore non può seguire il dipendente quando lui è “in missione” o quando svolge la propria attività fuori dall’azienda.
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Cosa dice la legge?
Con sentenza n. 15094/2018, la Corte di Cassazione “ha dichiarato illegittimo l’utilizzo di agenzie investigative per controllare la prestazione lavorativa”. In realtà, sebbene in sintesi possa sembrare così, di fatto la sentenza della Corte ha solo ribadito un concetto già noto sia alle aziende sia alle società di investigazioni, ossia che non si può indagare sull’operato di un dipendente all’interno del luogo di lavoro.
“Secondo i giudici della Cassazione – spiega Marzio Ferrario, amministratore delegato dell’agenzia investigativa Phersei – l’errore dell’azienda non è stato nell’avere avviato una collaborazione con la società investigativa ma nell’obiettivo stesso dell’incarico affidato”.
La sentenza, infatti, ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un dipendente che era stato controllato nell’ambito delle sue prestazioni lavorative.
Il dipendente era stato licenziato – con una sentenza di primo grado della Corte d’Appello di Roma del 20 aprile 2016 – per aver “rappresentato alla propria azienda un’attività lavorativa in realtà non svolta” violando così il “dovere di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa”. L’accertamento della negligenza, tuttavia, era avvenuto per il tramite di un’agenzia di investigazione che aveva provato la mancata esecuzione degli obblighi di controllo presso cantieri esterni all’azienda e la falsa attestazione.
“Ma qui l’errore – continua l’AD di Phersei – l’accertamento era riferito a momenti in cui il dipendente si trovava fuori dall’azienda ma comunque in orario lavorativo. Motivo per il quale, secondo i giudici della Cassazione, le prove dell’investigatore risultavano, anche se fondate, non valide ai fini della legittimità del licenziamento”.
Considerando illegittimo il licenziamento, pertanto, la Corte ha ribadito che il rapporto con le agenzie investigative deve comunque rispettare la privacy dei soggetti posti sotto verifica.
Ai sensi dell’articolo 3, L. 300/1970, la vigilanza dell’attività lavorativa è prerogativa esclusiva dei datori di lavoro e dei collaboratori da loro indicati. Il controllo sull’attività lavorativa non può essere occulto, e ciò significa che i dipendenti devono essere informati in anticipo su chi sia la persona incaricata di effettuare le verifiche.
“La lezione più importante stabilita da questa sentenza non è tanto nel giudizio sulla validità del licenziamento o meno ma – conclude Ferrario – nella definizione di una linea di confine tra i controlli occulti leciti e quelli illeciti”.
Purtroppo, nel tentativo di andare incontro all’esigenza dell’azienda di tutelare il proprio patrimonio cercando comunque di rispettare la dignità del dipendente ci si trova spesso davanti ad un limite invisibile. E proprio per non superarlo, si rende necessaria la presenza di un investigatore terzo in grado di accertare con professionalità e competenza la veridicità delle prove senza invadere la privacy altrui.
Quando è lecito rivolgersi a un investigatore privato?
Per restare in tema, il ricorso all’investigatore privato è invece consentito quando il dipendente è fuori dall’azienda ed esiste il fondato motivo che il dipendente si stia rendendo protagonista del compimento di un reato anche a danno all’azienda, pertanto l’agenzia non è incaricata di verificare l’operato tecnico del lavoratore ma solo di accertare l’illeceità del suo comportamento.
L’utilizzo di investigatori privati si rende necessario al fine di accertare l’infedeltà del dipendente che, in momenti non direttamente lavorativi (ad esempio in malattia o durante congedi), mette a rischio il patrimonio aziendale.
L’infedeltà del dipendente è disciplinata dall’articolo 2105 del Codice Civile, il quale stabilisce che “il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.
Secondo quanto stabilito dalla legge, l’obbligo di fedeltà prevede dunque:
- Il divieto di concorrenza sleale nei confronti del datore di lavoro, svolgendo attività che possono danneggiare l’imprenditore.
- L’obbligo di mantenere la riservatezza e dunque il divieto di divulgare informazioni sull’impresa che possono costituire un pregiudizio o uno svantaggio competitivo per il datore di lavoro.
In realtà, il tema dell’infedeltà del dipendente è molto più vasto e include molteplici circostanze che possono portare il lavoratore a essere considerato infedele, tra cui:
- l’abuso di permessi della legge 104 per fini diversi da quelli previsti dalla normativa;
- esibizione di un certificato medico falso;
- utilizzo improprio del congedo parentale;
- assenteismo ingiustificato;
- furti a danno dell’azienda;
- svolgimento di un’attività concorrenziale durante il normale orario di lavoro.
Come provare l’infedeltà del dipendente?
Le aziende o i datori di lavoro che osservano comportamenti sospetti nel dipendente tali da far supporre di essere di fronte a un caso di infedeltà aziendale si rivolgono sempre più di frequente alle agenzie investigative al fine di raccogliere prove e informazioni volte ad accertare i comportamenti illeciti del dipendente per poi procedere per vie legali e tutelare i propri interessi.
Il ricorso all’attività svolta da un investigatore privato è stato oggetto di pronuncia anche da parte della Corte di Cassazione, la quale ha legittimato l’azione investigativa in numerose sentenze, es. la sez. Lavoro, che con la sentenza n. 25674 del 4 dicembre 2014 ha valutato legittimo il ricorso a un investigatore privato per accertare le responsabilità di una cassiera di un supermercato, licenziata per non aver registrato la vendita di alcuni prodotti.
Secondo quanto stabilito dalla Corte, è dunque legittimo avvalersi dell’aiuto di un detective per effettuare controlli investigativi se questi ultimi sono mirati ad accertare l’effettivo atto illecito e a salvaguardare il patrimonio aziendale.
La Pubblica Amministrazione può ricorrere a un’agenzia investigativa?
Per concludere, la PA può avvalersi delle agenzie investigative per stanare un dipendente infedele? La risposta è sì.
A stabilirlo è la sentenza della II Sezione Centrale d’Appello della Corte dei Conti (n. 36954 /2016), che legittima il ricorso agli investigatori privati per verificare l’infedeltà del dipendente pubblico.
La Corte ha accolto l’appello di un dirigente pubblico, che era stato condannato al pagamento del danno erariale causato dalla spesa per l’ingaggio di un’agenzia investigativa. Tale decisione era stata dettata dalla necessità di ottenere risultati celeri, anche perché l’ufficio INPS competente in quel momento era afflitto da una grave carenza d’organico.
L’appellante si era perciò rivolto a un investigatore privato perché un dipendente pubblico era sospettato di svolgere un’attività lavorativa retribuita presso un altro datore di lavoro, nel periodo di congedo parentale di cui usufruiva (Legge 53/2000).
Il dipendente, infatti, grazie alle prove fornite dall’agenzia, era stato dichiarato infedele e condannato.
La Corte ha ribaltato la sentenza di primo grado e ha sancito l’inesistenza del danno erariale (in quanto i costi dell’agenzia investigativa sono a carico del dipendente infedele), legittimando la Pubblica Amministrazione all’utilizzo dei servizi offerti dalle agenzie di investigazione.
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