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Le telecamere in ufficio sono legali?

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| Phersei | Investigazioni Aziendali

L’utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature esclusivamente per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori è vietato dall’articolo 4 della legge n. 300/1970 (Statuto Lavoratori) e successive modifiche. Prima del D. Lgs. n. 151/2015, l’articolo 4 concedeva al datore di lavoro di installare nuove apparecchiature dalle quali potesse derivare un controllo a distanza dell’attività lavorativa dei dipendenti solo per esigenze organizzative, produttive o di sicurezza, ma non senza il previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, di un’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro competente.

Quindi, prima della riforma, l’articolo 4 consentiva lo svolgimento di attività di controllo e verifica con l’ausilio di strumenti di videosorveglianza, ma questi strumenti, se non autorizzati, non potevano essere utilizzati per contestazioni disciplinari sul non corretto svolgimento delle mansioni lavorative. Per toglierci ogni dubbio, abbiamo approfondito l’argomento con l’avvocato giuslavorista Francesco Antonio La Badessa.  

 

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Quando si possono installare le telecamere sul posto di lavoro?

«La videosorveglianza, se non è oggetto di preventivo accordo con le rappresentanze sindacali o di autorizzazione da parte del competente Ispettorato del Lavoro, non può essere collocata nei luoghi di lavoro. Può essere utilizzata all’esterno quale misura di tutela del patrimonio aziendale per prevenire o documentare illeciti civili e penali contro il patrimonio, l’organizzazione o, più in generale la sfera giuridica dell’azienda ma non inadempimenti professionali dei dipendenti.

In caso di videosorveglianza autorizzata, invece, le telecamere possono essere posizionate all’interno dei luoghi di lavoro ma gli inadempimenti o gli illeciti – oggetto di ripresa – commessi dal personale possono essere utilizzati come valide prove in giudizio purché la ripresa sia accidentale, ossia, il fatto oggetto di contestazione di inadempimento o illecito sia avvenuto casualmente nel raggio di ripresa della telecamera», afferma l’avvocato. Che spiega: «Con il decreto legislativo n. 151/2015, tutti gli altri dispositivi (diversi dalle telecamere), dai quali derivi il possibile controllo a distanza dei lavoratori, possono essere legittimamente impiegati dal datore di lavoro per esigenze organizzative e produttive, nonché per la sicurezza sul luogo di lavoro e la tutela del patrimonio aziendale, senza l’obbligatorietà dell’accordo con le parti sindacali o l’autorizzazione dell’Ispettorato.

Questo perché il legislatore, escludendo dal vincolo della contrattazione preventiva gli odierni strumenti ordinari di lavoro, quali PC, gps, cellulare, tablet, ha voluto svecchiare la norma – risalente a 45 anni prima – e adeguarla alle innovazioni tecnologiche».  

 

L’installazione della videosorveglianza da parte del datore di lavoro al fine di controllare i dipendenti è legale?

«Il controllo a distanza diretto non è mai consentito. Nella sostanza è ammesso quello indiretto nel caso in cui il posizionamento degli impianti di videosorveglianza sia oggetto di negoziazione e successivo accordo sindacale ovvero di autorizzazione da parte dell’Ispettorato. Ma se lo scopo è solo controllare se un lavoratore produce oppure no, le autorizzazioni non vengono mai concesse. In altre parole, l’inadempimento del lavoratore, registrato accidentalmente o casualmente dalla telecamera posta a tutela del patrimonio o della sicurezza dei lavoratori o degli impianti produttivi in azienda, è utilizzabile ai fini disciplinari, quello registrato esclusivamente per finalità di controllo della condotta dei dipendenti invece no.»

La questione, sembra di capire, riguarda le autorizzazioni. «Sì. Faccio un esempio. Un’azienda può utilizzare tutte le telecamere e le microspie di questo mondo, attraverso cui magari scopre un dipendente infedele. Il problema si pone sull’utilizzabilità di queste prove in sede di giudizio, perché se gli strumenti di controllo non sono stati autorizzati ai sensi dell’art. 4 (vecchio e nuovo testo), quelle prove non possono essere validamente utilizzate in un processo lavoristico, in cui l’eventuale licenziamento dovrà essere invece supportato da altre prove dirette o indirette quali: testimonianze, prove documentali, eccetera».

 

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