Dipendente in malattia visto in giro: come dimostrarlo?
Capita sempre più spesso che un datore di lavoro, un responsabile HR o un imprenditore si trovi davanti a una situazione delicata: un dipendente in malattia viene visto in giro, magari mentre svolge attività apparentemente incompatibili con lo stato di salute dichiarato.
Da qui nasce una domanda tanto frequente quanto complessa: è possibile dimostrare che la malattia è falsa o che il comportamento è scorretto?
Il tema è sensibile perché tocca due diritti contrapposti: da un lato il legittimo interesse dell’azienda a tutelarsi da abusi, dall’altro il diritto del lavoratore alla privacy e alla dignità personale. La risposta non è mai automatica, ma passa attraverso criteri giuridici molto precisi, chiariti negli anni dalla Corte di Cassazione.
Indice dei contenuti
- Essere “visti in giro” non basta: il principio cardine
- Uscire, passeggiare, fare commissioni: quando diventa un problema?
- Serve dimostrare che la malattia è finta?
- Foto, video e testimonianze: quali prove sono valide?
- Social network: quando diventano un boomerang
- Visita fiscale INPS o investigatore privato?
- Quando è lecito incaricare un’agenzia investigativa
- Licenziamento: quando è davvero legittimo?
- Profili penali e risarcitori
- Il ruolo dell’investigazione professionale
Essere “visti in giro” non basta: il principio cardine
Il primo equivoco da chiarire è il più diffuso sul web: vedere un dipendente fuori casa non equivale, di per sé, a falsa malattia.
La giurisprudenza è costante nel ribadire che l’assenza per malattia non impone una reclusione domestica assoluta, al di fuori delle fasce di reperibilità previste per la visita fiscale. Ciò che conta non è l’uscita in sé, ma la compatibilità dell’attività svolta con la patologia certificata.
Il giudice valuta due scenari distinti:
-
simulazione della malattia, quando il comportamento osservato è tale da far presumere l’inesistenza stessa dell’infermità;
-
condotta incompatibile con la guarigione, quando la malattia esiste, ma il lavoratore tiene comportamenti imprudenti che possono pregiudicare o ritardare il recupero.
In entrambi i casi, non si sanziona l’uscire di casa, bensì la violazione degli obblighi di correttezza, buona fede e diligenza che continuano a valere anche durante l’assenza per malattia.
Uscire, passeggiare, fare commissioni: quando diventa un problema?
Uno dei dubbi più cercati online riguarda le attività quotidiane: fare la spesa, guidare l’auto, bere un caffè al bar.
La risposta, anche qui, non è astratta ma concreta. Un comportamento diventa contestabile solo quando entra in contrasto con la diagnosi medica.
Un esempio classico chiarisce il punto:
-
una breve passeggiata può essere compatibile con uno stato ansioso o depressivo;
-
sollevare pesi, fare sport intenso o svolgere lavori manuali pesanti è incompatibile con una lombalgia acuta o un infortunio muscolo-scheletrico.
Il criterio utilizzato dai giudici è quello dell’“illecito di pericolo”: non serve dimostrare che la guarigione sia stata effettivamente ritardata, ma è sufficiente che il comportamento fosse potenzialmente idoneo a pregiudicarla.
Serve dimostrare che la malattia è finta?
Un altro punto cruciale riguarda l’onere probatorio. Molti pensano che, per licenziare, sia necessario dimostrare che il certificato medico sia falso.
In realtà, la Cassazione ha chiarito che non è sempre necessario provare la simulazione della malattia.
Il licenziamento può essere legittimo anche quando:
-
la patologia è reale;
-
il lavoratore svolge attività incompatibili con lo stato di salute;
-
tali attività ledono in modo irreversibile il rapporto fiduciario.
Una recente ordinanza ha inoltre precisato che il datore di lavoro non è obbligato a proporre querela di falso contro il certificato medico, potendo fondare la contestazione su una pluralità di prove fattuali, incluse quelle investigative.
Foto, video e testimonianze: quali prove sono valide?
Uno dei timori più diffusi riguarda la utilizzabilità delle prove.
Foto e video valgono? Le testimonianze dei colleghi sono sufficienti?
Le risposte sono articolate:
-
foto e video sono utilizzabili se raccolti lecitamente, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, senza violare la privata dimora;
-
testimonianze possono concorrere alla prova, ma da sole difficilmente sono decisive, soprattutto se provengono da soggetti coinvolti emotivamente o gerarchicamente;
-
contenuti social (post, stories, video) hanno assunto un peso crescente in giudizio, soprattutto quando mostrano attività incompatibili con la malattia dichiarata.
In tutti i casi, il valore probatorio cresce quando le evidenze sono coerenti, documentate e inserite in un quadro investigativo strutturato.
Social network: quando diventano un boomerang
Sempre più sentenze confermano che ciò che un lavoratore pubblica online può essere utilizzato come prova disciplinare.
Allenamenti in palestra, concerti, eventi sportivi o viaggi documentati sui social durante la malattia sono stati ritenuti idonei a dimostrare:
-
la simulazione dell’infermità;
-
oppure una condotta incompatibile con la guarigione.
Il punto centrale non è la violazione della privacy, ma il fatto che il contenuto sia stato volontariamente reso pubblico dallo stesso lavoratore, incidendo sul vincolo fiduciario.
Visita fiscale INPS o investigatore privato?
Molti datori di lavoro si chiedono quale sia lo strumento corretto da attivare per primo.
La risposta dipende dal tipo di sospetto.
La visita fiscale INPS, gestita dall’INPS, è lo strumento ordinario e meno invasivo per:
-
verificare la presenza del lavoratore nelle fasce di reperibilità;
-
accertare lo stato di malattia sotto il profilo sanitario.
L’investigatore privato, invece, può intervenire quando:
-
esistono indizi concreti e documentabili di comportamenti illeciti;
-
il sospetto riguarda la condotta extralavorativa, non la diagnosi medica.
Usare un investigatore per controllare la sola reperibilità è considerato sproporzionato e può rendere inutilizzabili le prove.
Quando è lecito incaricare un’agenzia investigativa
La giurisprudenza ha chiarito che il ricorso a un investigatore è legittimo solo in presenza di un fondato sospetto, basato su elementi anteriori all’indagine.
Si parla di controlli difensivi in senso stretto, distinti dai controlli generalizzati vietati dallo Statuto dei Lavoratori. Tali controlli devono rispettare:
-
proporzionalità, evitando pedinamenti prolungati o oppressivi;
-
pertinenza, limitandosi ai fatti rilevanti;
-
non invasività, escludendo la sfera privata e familiare.
Un controllo eccessivo può ritorcersi contro l’azienda, rendendo le prove radicalmente inutilizzabili.
Licenziamento: quando è davvero legittimo?
Il licenziamento non scatta automaticamente perché il dipendente è stato visto in giro.
È legittimo quando:
-
l’attività dimostra una falsa malattia;
-
oppure viola gravemente gli obblighi di correttezza e buona fede;
-
il comportamento compromette in modo irreversibile il rapporto fiduciario.
Attività fisicamente impegnative, secondo lavoro non dichiarato, assenze reiterate alle visite fiscali e comportamenti platealmente incompatibili con la diagnosi sono le situazioni che più spesso vengono confermate dai giudici.
Profili penali e risarcitori
In alcuni casi, la falsa malattia può integrare anche un reato di truffa, soprattutto quando vi è indebita percezione di indennità o utilizzo di certificati medici falsi.
Quanto al recupero dei costi investigativi, la possibilità di rivalersi sul lavoratore dipende dal singolo caso e dalla gravità della condotta accertata.
Il ruolo dell’investigazione professionale
In un contesto normativo e giurisprudenziale così complesso, l’improvvisazione espone a rischi elevati. Un’indagine condotta senza metodo può compromettere un intero procedimento disciplinare.
Un’agenzia specializzata come Phersei Investigazioni opera nel rispetto di:
-
limiti legali;
-
principi di proporzionalità;
-
standard probatori richiesti in sede giudiziale.
L’obiettivo non è “spiare”, ma documentare fatti oggettivi utili a tutelare l’azienda, riducendo il rischio di contenzioso e di sanzioni.
Conclusione
Il tema del dipendente in malattia visto in giro non ammette scorciatoie. Non basta un sospetto, non basta una foto isolata, non basta una segnalazione informale. Serve metodo, conoscenza della giurisprudenza e capacità di muoversi entro confini legali molto precisi.
La linea guida resta una sola: correttezza e proporzionalità, per entrambe le parti. È su questo equilibrio che i giudici continuano a fondare le loro decisioni, ed è su questo stesso equilibrio che deve basarsi ogni strategia di tutela aziendale.
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